La riccona è fallita e ha comprato un rudere in mezzo al nulla. Persa nella foresta, ha trovato qualcosa di strano.

ПОЛИТИКА

«Masha, ascoltami. Aspetta, non piangere. Là dove sto andando pagano davvero bene. È andata così, ma non possiamo arrenderci. Lavorerò sodo, guadagnerò dei soldi e ricominceremo da capo». Vanya cercava di calmarla.

Masha scosse la testa disperata.

«No, Vanya, no. Non voglio. Nessun guadagno vale una vita».

«Di quale vita parli? Sono altri tempi, non si va più al corpo a corpo. Non preoccuparti, non credi che andrei incontro a una morte certa, lasciandoti sola? No, devi solo resistere un po’, finché non comincerò a incassare. Abbiamo ancora un posto dove stare, per fortuna ci è rimasto almeno questo appartamento».

Masha sospirò.

«Vanya, non voglio più quel business. Che vada pure in malora. Perdere tutto di nuovo in pochi giorni? E abbiamo dovuto vendere anche tutto il resto…»

«Masha, non vedo altre strade per dimostrarmi che valgo qualcosa».

Sospirò di nuovo, sapendo che lei lo capiva benissimo, ma non approvava affatto.

Ciò che era successo era dolorosissimo. Da quasi dieci anni avevano costruito la loro impresa, tutto procedeva a gonfie vele. Poi, come due ingenui, erano caduti vittima di truffatori stranieri. Ora non riuscivano nemmeno più a rintracciarli.

Due giorni dopo Vanya partì per arruolarsi con un contratto.

Per Masha fu come se le avessero strappato via metà del cuore. Sobbalzava a ogni squillo di telefono e, se qualcuno bussava alla porta, entrava in panico.

Era passato un mese e la sua ansia cresceva anziché diminuire. Era sicura che sarebbe successo qualcosa di terribile, ne era convinta.

Una mattina presto le squillò il campanello. Guardò l’orologio e le gambe le si paralizzarono. Con fatica raggiunse la porta e l’aprì. Quando vide l’uomo in divisa, capì tutto.

Non riuscì nemmeno a sentirlo parlare: si accasciò contro il muro. Riprese i sensi in ospedale, all’inizio non capiva dove fosse. Poi, quando ricordò, urlò, gridò disperata.

Scoprì di essere rimasta sette giorni in bilico tra la vita e la morte.

La dimisero solo dopo un’altra settimana. Andò subito al cimitero. Trovò solo la croce, senza foto o altro. Nessuna indennità: le dissero che l’inchiesta era ancora in corso. Tutto era così incomprensibile…

Ritornata a casa, passò un giorno intero a girare nervosamente per l’appartamento. Poi prese una decisione: non poteva andare avanti così.

Con il ricavato dalla vendita urgente del piccolo appartamento, che comunque non era stato molto, chiese a un’agenzia di trovarle una casetta sperduta, lontano dalla gente e dalla civiltà. Ne trovarono una a 300 chilometri da dove viveva.

Quando il taxi si fermò, Masha fissò con terrore la vecchia baracca che aveva comprato senza neanche vederla.

«Voi siete sicura di voler vivere qui?» chiese il tassista, basito.

«Proprio qui». Masha si fece forza e guardò l’autista.

Lui prese i soldi e la guardò andare via.

«Si sono davvero rincoglionite, queste della città: non sanno più come divertirsi», borbottò tra sé.

Masha non sentì le sue parole, non importavano. Stava davanti a quella vecchia casa, pensando che forse non ci avrebbe davvero vissuto. Piuttosto, avrebbe dovuto sopravvivere…

Accese un grande fuoco, portò fuori di casa tutta la roba vecchia che trovò, roba da anziani. Poca, ma sufficiente. Mentre il fumo saliva, prese uno straccio e iniziò a pulire.

«Buona sera. Stavo giusto pensando: che incendio è questo?» disse una voce.

Masha si voltò di scatto.