Rita non si era mai considerata un completo fallimento. Al contrario, credeva nella propria forza, nella propria bellezza e nel proprio talento. E anche se la vita le lanciava sfide come sassi sul cammino, lei andava avanti senza inciampare, con la testa alta e il cuore pieno di orgoglio. Il suo percorso non era facile, ma era il suo: vivo, pulsante, colmo di lotte e vittorie. Non era semplicemente una parrucchiera, ma un’artista che trasformava i capelli in opere d’arte, una stilista le cui mani rendevano straordinari anche i tagli più ordinari. Lavorava in uno dei saloni più esclusivi della città, dove si arrivava in limousine e l’aria era pervasa di profumi pregiati e sussurri di milioni. Le sue clienti facoltose, abituate al lusso, non venivano da lei solo per tagliarsi i capelli: volevano sentirsi regine. E Rita le trasformava in tali.
Riceveva una retribuzione più che dignitosa – non quella che basta appena per arrivare a fine mese, ma quella capace di donarle stabilità e fiducia nel domani. Ma il tesoro più grande di Rita l’aspettava a casa: il suo piccolo Andriusha, la luce dei suoi occhi, la ragione di ogni suo risveglio mattutino. Vivevano soli in un appartamento tranquillo e accogliente, dove si percepivano l’odore del sapone per bambini e del pane fresco. Il padre di Andriusha se n’era andato ancor prima che lui nascesse, ma Rita non provava né nostalgia né rimpianto per lui. Al contrario, ringraziava il destino per averle fatto capire che è meglio restare sole piuttosto che stare con chi non ti apprezza. L’amore che un tempo le era parso luce si era rivelato menzogna, e proprio quella menzogna era l’inizio della sua vera e potente rinascita.
Molti anni prima, quando era ancora giovane, Michail era stato per lei tutto. Si faceva vedere dopo le lezioni all’università, l’accompagnava a casa, la guardava negli occhi con una tenerezza tale che Rita si scioglieva come neve al sole primaverile. Sempre elegante nei suoi abiti costosi, con voce vellutata e promesse di fedeltà eterna, partiva spesso per lavoro e lei lo aspettava come si attende una lettera o un miracolo. Finché un giorno arrivò il silenzio. E fu allora che Rita capì di portare in grembo una vita. Il suo cuore tremava per paura e gioia insieme, e decise che lui, il padre, aveva il diritto di sapere. Trovò il suo indirizzo non tramite amici o conoscenti, ma per puro caso, come se il destino l’avesse guidata fino a quella porta.
Con le mani tremanti e il cuore che batteva all’impazzata, salì al piano, suonò il campanello e la porta si aprì su una donna giovane e curata, con un’accappatoio addosso e uno sguardo beffardo. Dietro di lei spuntava un bimbo di quattro anni, impaurito. La padrona di casa scrutò Rita – il pancione, gli abiti semplici, il viso smarrito – e, con malcelata cattiveria, gridò verso l’interno:
— Michail! Di nuovo siete voi!
Quelle parole furono un ceffone. Rita scappò, le lacrime le annebbiavano la vista e il cuore le si stringeva per l’umiliazione. Non volle tornare a casa e si sedette su una panchina nel parco, sotto un vecchio pioppo, fissando il vuoto. Intorno ridevano e cantavano uccelli, ma lei si sentiva completamente vuota.
Di fronte a lei due ragazze discutevano animatamente del matrimonio imminente. Una si lamentava di non trovare un bravo parrucchiere per un taglio perfetto. Rita ascoltò distrattamente, poi non poté trattenersi: si avvicinò, sorrise e disse a bassa voce ma con fermezza:
— Forse posso aiutarvi io?
Non si vantò, non chiese nulla: offriva solo la sua opera. E quando prese in mano le forbici, tutto si fermò. La ragazza rimase come in trance e, al vedere il risultato, esclamò stupita. I capelli cadevano perfetti, la frangia era tracciata come con la riga e la forma risultava impeccabile. Da quel giorno si formò una fila davanti a Rita: le clienti si prenotavano, arrivavano anche da altri quartieri.
Rita si trasferì da una gentile anziana, la nonna Vera, che, ammirata dal suo talento, le offrì una stanza. Qualche mese dopo nacque Andriusha, piccolo e minuto, con occhioni grandi e manine delicate. Quando lo tenne per la prima volta tra le braccia, pianse: non era un semplice bambino, ma il senso della sua vita.
All’inizio lavorò in un normale salone, dove si sentivano tinta e shampoo economico. Ma il suo talento non poteva rimanere nascosto. Dopo un mese si parlò di lei, dopo tre fu chiamata in un salone di lusso. Ulyana Viktorovna, la proprietaria, la selezionò personalmente: «Tu non sei solo una professionista», le disse, «tu sei un’artista.»
Una sera, tornando a casa, Rita sognava già il domani: aveva comprato un giubbotto caldo e blu brillante per Andriusha, con un cappuccio a forma di orsetto, immaginandolo saltellare e ridere. Persa in quei pensieri, udì una voce roca:
— Signorina, aspetti! Ho bisogno proprio di lei!
Dietro di lei un vecchio con giacca logora, capelli grigi e scarpe rotte. Un senzatetto, a prima vista, ma i suoi occhi rivelavano una strana dignità. Rita lo ascoltò:
— Ho trovato il suo portafoglio per strada e volevo restituirglielo.
In quel portafoglio c’era l’intera paga di Rita, destinata a cibo, medicine e al giubbotto per Andriusha. Con le mani tremanti lo aprì: tutto era al suo posto. Offrì qualche banconota:
— Prenda, per il disturbo.
— Non voglio nulla che non mi appartenga, – rispose lui.
Allora Rita propose:
— Venga venerdì in salone, le faccio un taglio gratis.
— Wow!, – esclamò felice lui.
Il giorno dopo Rita comprò il giubbotto per Andriusha. A casa, l’amica Irka la rimproverò:
— Ancora cose costose per lui!
— Prima fai la tua figlia, poi fammi la morale, – ribatté Rita.
— Ah, magari ci fosse un padre!, – fece Irka con veleno.
Al salone Rita raccontò dell’anziano e tutte le colleghe rimasero incantate. Quando lui tornò, tutte trattennero il fiato. Rita lo fece accomodare, scoprì che lavava i capelli con semplice sapone di Marsiglia e gli offrì uno shampoo profumato di vaniglia e felicità. Mentre lavorava, Irka si contorceva in un angolo, gelosa. Le altre offrirono al vecchio del tè e sorridevano. Ma a un tratto la porta si spalancò: Ulyana Viktorovna, furiosa, urlò:
— Che circo è questo?! Nei miei saloni non tagliamo i capelli ai barboni!
Estrasse il telefono e mostrò la foto di Rita e del vecchio:
— Chi ha fatto questo?
— Non sono stata io!, – rispose Irka abbassando lo sguardo.
— Margarita, sei licenziata!
Rita uscì di corsa, sentendo nuovamente il dolore dell’ingiustizia. Non si accorse che il vecchio non se n’era andato. Ulyana uscì dopo un minuto e lo riconobbe:
— Egorova!
Lei lo scrutò e lo riconobbe:
— Professore Nikolaj Stepanovič?!
— Mi ricordi? Le ho insegnato, e tu mi hai salvato dall’espulsione…
Scoprirono che, a causa della crisi, lui aveva perso la casa ed era stato costretto a vivere in un rifugio.
Il giorno dopo Ulyana chiamò Rita:
— Vieni subito!
Rita tremava, pronta a fuggire dalla madre, ma accettò. Nel salone la attendevano Ulyana e il professore, ora in eleganti vestiti e con capelli curati. Ulyana annunciò:
— Sto aprendo nuovi saloni. Ho bisogno di un direttore e di un addetto alla sicurezza. Tu sarai la direttrice, lui la guardia.
Rita non riusciva a crederci, le lacrime le rigarono il volto.
— Grazie, – sussurrò.
— E non dimenticare, – aggiunse il professore, – chi ti tradisce non merita il tuo tempo.
Un’ora dopo Irka fu licenziata: lanciò a Rita uno sguardo d’odio e se ne andò. Rita capì che nella vita ci sono persone che ti trascinano verso il basso, e con loro bisogna salutarsi con dignità. Rimase forte, saggia e felice, perché la sua vita non è stato un caso: è stata una vittoria.