«Quale moglie? Questa vecchia?», sbottò l’uomo al microfono per tutto l’hotel. Non sapeva che la mia risposta lo stava già aspettando alla reception.

ПОЛИТИКА

La storia che vi racconterò oggi è amara come l’assenzio, ma, a dire il vero, molto istruttiva.

È la storia di come, in una sola serata, si possa perdere ciò che si è costruito in venticinque anni. E di come perfino la pazienza più grande abbia un suo limite.

Quest’anno io e mio marito Andrij dovevamo festeggiare le nostre nozze d’argento. Venticinque anni! Vi rendete conto? Un’intera vita.

Abbiamo deciso di celebrare degnamente l’evento: volare in Turchia, in un elegante hotel a cinque stelle. Sognavo questo viaggio da chissà quanto tempo – mi privavo di tutto e mettevo da parte ogni singolo centesimo.

Mi immaginavo: noi due a passeggio sulla spiaggia al tramonto, mano nella mano come quando eravamo giovani; cena a lume di candela… Insomma, tutta quella romanticheria che nella vita di tutti i giorni, con continui lavori in casa e i nipoti, manca drammaticamente di tempo ed energie.

Ma, come si suol dire, noi programmiamo e la crisi di mezza età dispone. Andrij ha compiuto cinquanta anni – e come se lo avessero sostituito.

Capelli bianchi nella barba e un diavolo nelle costole: proprio lui. Dal primo giorno in hotel, dimentico dell’anniversario e di me, si è fissato su una giovane animatrice.

Una di quelle tipiche “fiamme” di trent’anni, magra come un giunco, con ciocche decolorate quasi bianche e ciglia finte con cui batteva le palpebre come una farfalla. In short jeans e top, che a malapena coprivano ciò che le persone perbene tendono a nascondere.

Oh ragazze, quante cose ho dovuto sopportare in quei primi giorni… All’inizio cercavo di non farci caso. Mi ripetevo: “Forse si sente di nuovo giovane, vuole un’iniezione di adrenalina – lasciatelo sfogare.” Ah, se solo!

Ma lui correva dietro a lei per tutto l’hotel come un cagnolino innamorato, quasi gli gocciolasse la saliva dalla bocca!

A colazione non mi sapeva nemmeno sentire, tanto era impegnato a salutare lei con la mano da un capo all’altro della sala. Al bordo della piscina scattava in piedi per aiutarla ad aprire l’ombrellone, fingendo un gesto di cortesia, mentre io rimanevo sola sotto il sole cocente.

Io gli dicevo: «Andrij, portami un po’ d’acqua, per favore», e lui non mi sentiva – già correva da lei con due cocktail in mano. Immaginate: per lei un drink bellissimo, alla fragola, e a me, malvolentieri, un semplice bicchiere d’acqua.

La sera invece spariva alla discoteca e tornava all’alba, intriso di profumi altrui e di alcol, e cadeva a letto senza dire una parola.

Io restavo seduta a distanza e, come un’idiota, mi ripetevo: “Vera, sii saggia. È solo una vacanza, si riprenderà.” Speravo che presto si sarebbe stancato di tutta quell’attenzione, che avrebbe ricordato perché eravamo lì e che il nostro anniversario si sarebbe comunque celebrato. Che ingenuità!

Quella stessa sera non la dimenticherò mai. La sera del nostro anniversario. Dalla mattina ero in estasi, pregustavo tutto. Avevo indossato il mio vestito di seta più bello, quello comprato apposta per l’occasione.

Capelli acconciati, trucco accurato, profumo francese costoso che avevo conservato per un giorno speciale. Lo aspettavo in camera come una sposa.

E lui è arrivato cinque minuti prima di cena, sudato, e dalla soglia ha sbottato: «Forza, sbrighiamoci, stiamo facendo tardi per lo spettacolo serale! Oggi Katjuša conduce, promette qualcosa di grandioso». Come vi sembra? Nessuna parola sull’anniversario.

Nessun complimento per il mio abito. Stavo per scoppiare in lacrime, ma mi sono trattenuta. Siamo andati verso la piscina e lui camminava avanti, quasi di corsa – voleva avere il tavolo più vicino al palco.

E io mi sono ritrovata seduta a un tavolino di plastica appiccicoso, a bere un vino aspro in un bicchiere di plastica, mentre sul palco, accompagnato da musica alta, mio marito cinquantenne, già bello brillo, partecipava a qualche ridicolo concorso.

Ragazze, avrei voluto sprofondare per la vergogna. Ma lui non si fermava, convinto di essere l’astro nascente della comicità!

L’animatrice, certo, lo assecondava, rideva a ogni sua battuta piatta e lo riempiva di complimenti. Lei, del resto, stava solo facendo il suo lavoro. Ma in platea – un silenzio tombale, nessuno sorrideva.

Solo un paio di uomini leggermente alticci ridevano alle sue sciocchezze. Io bruciavo di vergogna.

E in quel momento la ragazza Katja, saltellando verso di lui con il microfono, ha cinguettato: «Andrij, lei è un vero comico! Sono sicura che sua moglie è molto orgogliosa di lei! Dov’è la sua splendida consorte? Faccia vedere a tutta la Turchia la sua bella moglie!»

Tutto l’anfiteatro ha applaudito. E mio marito, il mio Andrij con cui avevo vissuto un quarto di secolo, ha preso il microfono e… ragazze, per qualche secondo si è fatto un silenzio irreale. Si vedeva come il cervello gli facesse i conti su una battuta ad effetto, un “wow” per far gridare tutti. Ma ovviamente non gli è venuto in mente nulla di intelligente. E così, dopo quella pausa dolorosa, con un sorriso smagliante, ha urlato a tutto l’hotel, a centinaia di persone:

«Ma quale moglie? Parlate di quella vecchia signora in vestito floreale? – ha agitato distrattamente la mano verso di me. – Ci sono venuto solo per i soldi! Qualcuno doveva pur finanziare il banchetto per lo spirito giovane!»

Ragazze, in quel momento per me il mondo si è fermato. La musica, le risate, le voci altrui – tutto è svanito. Vedevo solo il suo volto compiaciuto e umido e sentivo centinaia di occhi puntati su di me come spilli.

Qualcuno ha ridacchiato sottovoce. Un altro mi ha guardata con tale pietà che mi ha fatto gelare la pelle. Quella compassione era peggiore di uno schiaffo. Ho sentito il fiato mancare e un solo pensiero martellava nella mia mente: “Sto sognando. Non può essere. Non è il mio Andrij, non è quello a cui ho dato la vita.”

Proprio in quell’istante, nel silenzio che aveva invaso tutto il teatro, ho capito: il rispetto era stato oltrepassato. Qualcosa dentro di me si è spezzato, gelido e definitivo. Quella era la linea di confine, l’ultima goccia della mia pazienza.

Non ho pianto. Dentro era vuoto, come un deserto dopo l’incendio. Solo un freddo silenzio. E la Vera che perdonava sempre e restava in silenzio – era morta. Era rimasta solo la donna a cui avevano tolto tutto. E, come in un buon film, ho capito che era il mio momento di agire.

Mi sono alzata in silenzio, senza guardare il palco, e con la schiena dritta sono andata verso la mia camera. Sentivo lui che balbettava parole confuse dietro di me, ma quella voce apparteneva a un’altra vita.

In camera mi sono guardata allo specchio. Non c’era “la vecchietta in vestito floreale”, ma una donna appena tradita. E in quel momento tutto il risentimento si è consumato, lasciando solo un piano freddo e calcolato. Era l’unica risposta possibile.

Quella notte non ho chiuso occhio. Ma non è scesa neanche una lacrima. C’era solo azione. Ho acceso il portatile e le dita hanno iniziato a volare sulla tastiera. Ho comprato un biglietto per il primo volo della mattina, solo andata.

Ho aperto l’armadio. Ecco il mio abito di seta, quello in cui lo aspettavo. E accanto – le sue camicie, che fino a ieri stiravo… Ho provato un tuffo al cuore, ma subito dopo è passato. Ho iniziato a fare la valigia. Ogni capo inserito era un passo verso una nuova me. Verso una nuova storia.

All’alba, mentre Andrij dormiva, stremato, sono scesa alla reception.

Lì c’era lo stesso cortese signore turco. Gli ho sorriso al meglio delle mie possibilità.

«Buongiorno, – ho detto. – Vorrei solo confermare che la nostra prenotazione per la cena romantica di stasera è ancora valida. A nome di Andrij…, camera…»

Ha annuito, ha digitato qualche comando al computer:
«Sì, madam. Confermato. “Pacchetto romantico reale”: cena a lume di candela sul molo, camera con petali di rosa, champagne e cesta di frutta esotica.»

Mi ha guardata con attenzione, quasi con umanità:
«Desidera cancellare?»

«Ma figurarsi! – ho risposto fingendo sorpresa – Assolutamente no. Mio marito non vede l’ora. Se lo merita.»

Ho appoggiato la chiave sul banco:
«Sa, oggi parto io e lui resta qui. Vorrei che il conto di questa… gradita sorpresa fosse intestato a lui, in quanto principale festeggiato.»

Il manager ha annuito:

«Certamente. Il conto sarà intestato al signor Petrov. Buon viaggio, madam. Saremo sempre felici di accoglierla nuovamente.»

Era tutto ciò che avevo sognato per le nostre nozze d’argento. Con un cenno ho preso il biglietto da visita degli animatori. Il clou era ancora da venire.

L’ho trovato vicino alla piscina: scompigliato, con gli occhi rossi e un’espressione colpevole. Mi ha vista e si è precipitato verso di me.

«Veročka, perdonami! Sono uno stupido! Ho esagerato, mi è scappata la lingua… Volevo solo scherzare…»

Ho interrotto quel flusso di scuse con un sorriso – quello che si riserva a chi deve ricevere una diagnosi infausta.

«Andrij, va tutto bene. Non servono scuse. Ho capito tutto. E ho persino preparato un regalo per il nostro anniversario.»

Gli ho teso la ricevuta e il biglietto da visita degli animatori. Lui guardava quei fogli senza capire.

«Che cos’è?»

«È per te, amore mio. Così non dovrai più scegliere tra me e il tuo spirito giovane. Cena, rose, champagne… Invita Katja. Lei apprezzerà di sicuro. Volevi fare il benefattore? Ecco, ti ho dato una mano.»

Il suo volto cambiava come fotogrammi di un film: dallo stupore alla paura. Mi guardava, poi fissava i fogli come uno scarafaggio davanti allo spray.

Mormorava: «Vera, non hai capito… Era uno scherzo, parliamone…» e allungava la mano verso di me.

Io mi sono ritratta.

«Andrij, tra due ore ho il volo. Il taxi mi aspetta. Goditi la serata. E non cercarmi.»

«Le tue cose potrai ritirarle tra una settimana. Addio, mio caro sponsor.»

Mi sono voltata e me ne sono andata senza guardarmi indietro. Ogni passo era deciso, libero. E, per la prima volta dopo tanti anni, non ho sentito dolore. Solo sollievo. La liberazione da un peso di venticinque anni.

E così, ragazze, sono finite le mie nozze d’argento. Mentre mi dirigevo all’aeroporto, non ho pianto. C’era solo un grande vuoto.

Ma ora, mentre ve lo racconto, mi stringe un nodo alla gola. Ditemi onestamente: ho fatto tutto giusto? Oppure è normale che, dopo i cinquant’anni, a tutti si arrivi al punto di far uscire il cervello?