«Papà, quei bambini nella spazzatura sembrano proprio me!»
Ethan Walker, otto anni, tirò con urgenza la mano del padre, il suo piccolo dito puntato verso due ragazzi raggomitolati su un materasso lurido e strappato in un vicolo sporco. Erano avvolti in coperte grigie e sottili, i volti pallidi, i vestiti logori. Sacchi di immondizia e graffiti li circondavano.
Suo padre, James Walker, un milionario noto per il suo acuto senso degli affari e i suoi impeccabili abiti, si immobilizzò. Stava accompagnando Ethan a casa da scuola quando le parole del figlio lo colpirono come un pugno.
James volse lo sguardo verso il vicolo. I ragazzi avevano più o meno l’età di Ethan. I capelli dello stesso castano, il naso della stessa forma. Il cuore di James ebbe un sussulto. Per un attimo inquietante, era come guardare il riflesso di Ethan moltiplicato.
«Papà… perché mi somigliano?» La voce di Ethan tremava, piena di confusione.
James strinse la mano del figlio. «Forse… è solo una coincidenza», mormorò, anche se il petto gli si strinse per l’ansia. Aveva vissuto una vita in cui le coincidenze raramente esistevano.
Non riusciva a distogliere lo sguardo. Uno dei ragazzi si mosse, voltandosi nel sonno. La somiglianza divenne innegabile. Non erano solo simili a Ethan: potevano essere suoi fratelli.
Ricordi a lungo sepolti riaffiorarono. Il volto in lacrime di una donna. Una relazione spezzata. Una scelta fatta anni prima: allontanarsi quando la responsabilità bussava troppo forte.
«Papà, possiamo aiutarli? Dormono nella spazzatura», supplicò Ethan.
La mascella di James si serrò. Si era sempre vantato del suo autocontrollo, ma in quel momento il suo mondo girava vorticosamente. Suo figlio non aveva idea del passato che poteva legarlo a quei ragazzi.
Facendo un respiro profondo, James disse: «Andiamo, Ethan. Parliamo con loro.»
Si avvicinarono al vicolo. La puzza era insopportabile, ma Ethan non indietreggiò. Si inginocchiò accanto ai ragazzi e sussurrò: «Ehi… state bene?»
Uno dei due aprì lentamente gli occhi, sorpreso. L’altro si strinse a lui protettivo. I loro occhi—nocciola, proprio come quelli di Ethan—incontrarono quelli di James.
E in quell’istante, James capì. Non era una coincidenza.
Il più grande dei due si mise a sedere con cautela. «Chi siete?» chiese con voce roca.
James si accovacciò, allentando la cravatta, cercando di non sembrare minaccioso. «Mi chiamo James. Questo è mio figlio, Ethan. Come vi chiamate?»
«Io sono Liam», disse il ragazzo, passando un braccio protettivo intorno al fratellino. «Questo è Noah. Non parliamo con gli sconosciuti.»
Ethan li guardò confuso. «Ma non siete sconosciuti… mi somigliate. Siamo… parenti?»
La domanda trafisse l’aria come una lama. Il polso di James accelerò. Voleva negare, ma la coscienza gridava il contrario.
«Dove sono i vostri genitori?» chiese con cautela.
Lo sguardo di Liam si fece duro. «La mamma non c’è più. Si è ammalata l’anno scorso. Papà ci ha lasciati quando eravamo piccoli. Da allora siamo soli.»
Il respiro di James si spezzò. La loro madre… poteva essere lei? Anna, la donna che aveva amato e poi lasciato per inseguire il suo impero. Si era convinto che avesse rifatto la sua vita. Ma se quei ragazzi erano suoi—e tutto lo faceva pensare—allora non aveva abbandonato solo una relazione, ma anche dei figli.
Ethan tirò la manica del padre. «Papà, non hanno nessuno. Non possiamo lasciarli qui.»
James deglutì, oppresso dal senso di colpa. «Non li lascerò», sussurrò.
I ragazzi lo fissavano diffidenti. «La gente dice cose e poi sparisce», mormorò Liam.
Il petto di James bruciava. Era stato proprio quel tipo di uomo. Non poteva permettere che accadesse di nuovo.
«Ascoltatemi», disse James con fermezza, guardando dritto negli occhi guardinghi di Liam. «Credo di essere vostro padre.»
Il vicolo cadde nel silenzio. Gli occhi di Liam si spalancarono. Noah trattenne il respiro. Ethan strinse più forte la mano di suo padre.
«Stai mentendo», sussurrò Liam, anche se la voce gli tremava. «Nostro padre ci ha lasciati e non è più tornato.»
La gola di James si strinse. «Sì. Sono stato io. E fu l’errore più grande della mia vita.»
Ethan guardò il padre, sbalordito. «Papà… sono davvero i miei fratelli?»
James annuì lentamente, con le lacrime agli occhi. «Sì, Ethan. Sono i tuoi fratelli.»
La rivelazione pesava nell’aria. Liam strinse Noah a sé, il volto combattuto tra rabbia e desiderio. «Perché ora? Perché tornare adesso?»
La voce di James si incrinò. «Perché il destino mi ha costretto ad affrontare ciò da cui sono fuggito. Non sapevo che vostra madre fosse morta. Non sapevo che soffriste così. Ma ora che lo so, non vi abbandonerò mai più.»
Noah lo guardò timidamente. «Vuoi dire… che verremo con te?»
Ethan sorrise radioso. «Sì! Vivrete con noi! Saremo fratelli davvero!»
Ma Liam scosse la testa. «Non è così semplice. Le persone dicono sempre che aiuteranno. Poi se ne vanno. Non posso lasciare che Noah si faccia male di nuovo.»
James si mise in ginocchio, alla stessa altezza di Liam. «Non mi aspetto che tu ti fidi subito. Ma vi prometto un tetto, cibo, scuola… una famiglia. Se vi deluderò ancora, non meriterò di essere vostro padre.»
Per la prima volta, l’espressione rigida di Liam si incrinò. Una lacrima gli scivolò sul viso. Guardò Noah, che sussurrò: «Io voglio andare.»
Finalmente, Liam annuì lentamente. «Ti daremo una possibilità.»
Un sollievo profondo travolse James. Abbracciò i due ragazzi, Ethan si strinse anche lui, e i quattro rimasero avvolti in un abbraccio in quel vicolo sporco. I passanti si fermavano a guardarli, alcuni incuriositi, altri con un sorriso discreto. Ma per James, il mondo era cambiato.
Era entrato in quel vicolo da potente milionario con un solo figlio. Ne uscì con tre.
Più tardi, mentre guidavano verso la tenuta Hamilton, Ethan sussurrò a Liam e Noah: «Vedete? Ve l’avevo detto. Mi somigliate perché siamo fratelli.»
James serrò il volante, il cuore pesante di colpa ma leggero di speranza. Per anni il suo impero era stato la sua eredità. Ora capiva: la sua vera ricchezza erano i bambini accanto a lui.
Quella era la sua seconda possibilità. E questa volta, non l’avrebbe sprecata.