Appena uscita da una relazione durata sette anni, ho perso fiducia nell’amore, così ho sposato temporaneamente uno spazzino sul bordo della strada per compiacere i miei genitori.

ПОЛИТИКА

La pioggia cadeva leggera, coprendo la piccola strada con un sottile velo di nebbia, come a nascondere le crepe del vecchio marciapiede. Stavo sotto il lampione giallo, stringendomi il cappotto, gli occhi persi a seguire distrattamente il netturbino che spingeva un carretto pieno di sacchi di plastica. Indossava una divisa blu consunta, il volto nascosto sotto la visiera del berretto, eppure il suo passo lento e diligente catturò la mia attenzione. Quella notte, il mio cuore era gravido di tristezza. La mia relazione di sette anni con Nam si era appena conclusa, lasciandomi un vuoto incolmabile. Non credevo più nell’amore, non credevo più nelle dolci promesse.

I miei genitori, soprattutto mia madre, continuavano a incitarmi a sposarmi. «Lan, hai quasi trent’anni, non puoi vivere sola per sempre», diceva lei con voce preoccupata. Ero stanca di quella pressione, stanca degli sguardi delusi di mio padre ogni volta che rifiutavo un incontro combinato. E poi, in un impeto di impulso, decisi di fare qualcosa che non avrei mai immaginato: sposare quel netturbino.

Si chiamava Tung, aveva trentadue anni, era silenzioso ma con occhi gentili. Ci eravamo incontrati un paio di volte mentre tornavo a casa, scambiando qualche parola sul tempo o sul disordine della strada dopo ogni turno notturno. Lui non mi chiedeva nulla del mio passato, e io non volevo raccontargli nulla. Una sera, sotto i lampioni, sfoderai la domanda: «Tung, vuoi sposarmi? I miei mi stanno tormentando, mi serve solo qualcuno che li tranquillizzi».

Tung alzò lo sguardo, un po’ sorpreso, ma non rifiutò. «Se non ti dispiaccio, d’accordo», rispose con voce bassa e pacata. Sorrisi appena, pensando che fosse solo un accordo temporaneo, un modo per sfuggire alle pressioni familiari. Non mi aspettavo nulla da lui, né da quel matrimonio. Ma mi sbagliavo, e in un modo che non avrei mai potuto prevedere.

Nam ed io eravamo stati innamorati fin dai tempi dell’università. Era un ragazzo brillante, attivo, capace di farmi sempre ridere. Sognavamo un futuro insieme: una casetta, dei figli. Ma negli ultimi anni Nam era cambiato. Si era fatto distante, le sue promesse erano diventate bugie. Alla fine scoprii che vedeva un’altra ragazza, qualcuno che, a suo dire, era «più adatta al suo futuro». Non piansi, non lottai: me ne andai semplicemente, con il cuore infranto ma la mente lucida.

Dopo la fine della storia, mi chiusi in me stessa. Lavoravo come una macchina, dall’ufficio a casa, da casa in strada, e di nuovo all’ufficio. I miei genitori erano in ansia, ma non volevo parlare né di Nam né di amore. Quando mia madre proponeva un conoscente, rifiutavo categorica. «Non ho più bisogno dell’amore», dicevo, e lei sospirava.

Tung arrivò come un piccolo bagliore in quei giorni bui. Non mi chiedeva del passato, non cercava di consolarmi con frasi sdolcinate. Lavorava in silenzio e mi ascoltava quando parlavo della vita. Quando proposi il matrimonio, non pensavo accettasse: e invece annuì. Pensai che almeno da quel legame fittizio avrei avuto un motivo per continuare a vivere senza riaprire del tutto il mio cuore.

I preparativi furono molto rapidi. Dissi ai miei genitori che Tung era un bravo ragazzo che lavorava per una ditta di igiene urbana. Mia madre aggrottò la fronte, mio padre rimase in silenzio, ma nessuno obiettò. «Finché sei felice», disse mio padre, anche se gli occhi tradivano preoccupazione. Non aggiunsi altro, volevo solo che tutto si risolvesse in fretta e che nessuno facesse troppe domande.

Tung propose di celebrare il matrimonio nella sua «casa di famiglia in periferia». Pensai si trattasse di un modesto alloggio, come il mio vecchio studentato, e non indagai. Promise anche di occuparsi del «lễ đen» per la mia famiglia – un modesto versamento simbolico – e io non mi aspettai di più. Tutto sembrava procedere senza intoppi, fino al giorno delle nozze.

Quella mattina, mi ritrovai davanti allo specchio con un semplice abito bianco da sposa, sensazione di vuoto nell’anima. Non avevo i soliti brividi d’emozione, sentivo solo di compiere un gesto obbligato. Quando arrivò l’auto nuziale, rimasi di stucco nel vedere una Mercedes lucida. «Sarà a noleggio», mi dissi, ma il cuore iniziò a battermi forte.

Attraversammo le strade suburbane fino a entrare in una zona di ville di lusso. Ci fermammo davanti a un’elegante residenza di tre piani, con un grande cancello nero e un cortile pieno di auto. Rimasi senza parole. «Tung, dov’è qui?» chiesi tremando.

«Casa mia», rispose lui con un leggero sorriso. «Non ho avuto modo di spiegarti prima.»

Il cancello si aprì, e una donna di mezza età, vestita con eleganza, venne ad accogliermi. Si presentò come la madre di Tung, la signora Huong, e mi abbracciò come una figlia. «Entra, tutti ti aspettano», disse con voce calda. Varcai la soglia con la mente in subbuglio. Il salone era ampio, decorato con fiori freschi e lampadari di cristallo. Gli ospiti, tutti in abiti eleganti, ridevano e chiacchieravano. Non era affatto il matrimonio di un netturbino.

Quando la cerimonia ebbe inizio, ero ancora incredula. Tung, in un impeccabile completo nero, stava accanto a me con uno sguardo dolce e sicuro. Mi prese la mano e sussurrò: «Scusa se non te l’ho detto prima. Volevo che mi amassi per quello che sono, non per la mia famiglia.»

Non ebbi il tempo di rispondere perché la signora Huong salì sul palco e porse ai miei genitori una scatola di legno. «Questo è il lễ đen, signori», disse con tono solenne. Mio padre la aprì, mia madre coprì la bocca in preda allo stupore. Dentro c’era una bella somma in contanti – più di un miliardo di dong – e un bracciale d’oro luccicante. «È un piccolo segno della nostra gratitudine, per unire le nostre famiglie», spiegò la signora.

Rimasi senza parole. Il netturbino che spingeva il carretto per le strade si rivelava essere l’unico figlio di una ricca famiglia proprietaria della più grande ditta di servizi ambientali della città. Quel lavoro non era dettato dalla necessità, ma dal suo desiderio di capire dal vivo la vita dei suoi dipendenti.

Dopo la cerimonia, io e Tung ci sedemmo nel giardino sul retro, sotto le luci soffuse. Ero ancora scossa, ma dentro di me si mescolavano imbarazzo, gratitudine e smarrimento. «Perché non me l’hai detto?» chiesi, con un filo di voce.

Tung sorrise, gli occhi brillanti. «Quando ti ho incontrata sotto al lampione, eri sul punto di piangere. Non sapevo chi fossi, ma volevo farti sorridere. Quando hai chiesto di sposarmi, ho visto l’opportunità di restare accanto a te e dimostrarti che ti amo davvero, senza condizioni.»

Abbassai lo sguardo, le lacrime mi rigavano il volto. «Ma sapevi che io non ti amavo… Volevo solo compiacere i miei genitori.»

Tung mi strinse la mano con calore. «Lo so. Ma sono convinto che, se mi darai una possibilità, ti farò innamorare di me, non per il denaro, ma per chi sono.»

Nei giorni successivi scoprii l’uomo meraviglioso che era: attento, generoso, capace di amare senza pretendere perfezione. Continuava a indossare la divisa e a spingere il carretto con i suoi colleghi, perché «solo ricordando le piccole cose si apprezza davvero la vita», mi diceva.

Un mese dopo le nozze, Tung mi portò a visitare la sua vecchia casa in periferia, dove viveva quando voleva «staccare» dal lusso. In una stanza spoglia trovai una scatola di legno consunta: dentro c’erano lettere scritte a mano, raccolte fin dal nostro primo incontro. «Ragazza sotto al lampione, non sai quanto sei speciale», cominciava una. «Aspetterò finché non sarai pronta ad amarmi.»

Lo abbracciai, le lacrime ancora agli occhi. «Sei così stupido», sussurrai. «Ti ho amato a lungo senza accorgermene.»

Ma la sorpresa più grande arrivò una sera, durante una cena con i miei genitori. Mia madre, ormai conquistata dalla sincerità di Tung, si alzò e prese un piccolo cofanetto. «Lan, questo è qualcosa che ho tenuto per te», disse aprendolo. Dentro c’era un anello d’argento inciso con il tuo nome e quello di Nam. «Me lo aveva dato Nam prima della vostra rottura. Disse che se avessi trovato qualcuno che ti amasse davvero, me lo avrebbe mandato.»

Rimasi senza parole, incredula che Nam avesse ancora un posto nel suo cuore, almeno nel passato. Tung prese l’anello e sorrise: «Lo custodirò, per ricordarmi sempre di amarti più di chiunque altro.» Me lo infilò al dito, accanto all’anello nuziale scintillante.

Sotto quei lampioni dove tutto ebbe inizio, compresi che l’amore non è qualcosa da cui fuggire, ma da cercare — anche nei luoghi più inaspettati. E io, colei che aveva perso la fiducia, ritrovai la felicità tra le braccia dell’uomo che, spingendo un carretto della spazzatura, mi aveva portato il mondo ai miei piedi.